Le evidenze archeologiche

LA PORTA URBICA

Porta Urbica

Questo bassorilievo è la riproduzione in miniatura dell’autentica porta d’ingresso alla rocca di Compsa, attraverso la quale si accedeva all’area del foro. Si tratta di un ennesimo esempio di reimpiego - in quanto il bassorilievo è inserito nelle mura portanti del campanile della cattedrale settecentesca -, un fortunato utilizzo di una pietra che era nell’area del foro e che, utilizzata per un altro edificio in cui viene incastonata, è sopravvissuta al tempo.

Le linee architettoniche e la monumentalità di questo bassorilievo riprendono le caratteristiche sia dei materiali (pietra calcarea) sia della lavorazione del foro. Come si può notare, le linee e le canalette non sono difformi dai modi di lavorazione dei lapicidi (i lavoratori della pietra) che hanno costruito il foro.

Si è ipotizzato che questa sia la riproduzione della porta urbica grazie a ritrovamenti simili negli altri municipia; ognuno di questi ha caratteristiche paragonabili all’ingresso che viene rappresentato: una sorta di fotografia, in miniatura e in pietra.

Saranno stati probabilmente gli stessi Antisti (importante famiglia nobiliare di Conza con diramazioni in tutta Italia) a completare quest’opera, dal momento che proprio un membro della famiglia degli Antisti ha pagato a sue spese i lavori di pavimentazione del foro, nell’ambito di un progetto di monumentalizzazione dell’area databile alla prima metà del I sec.d.C.

IL CIPPUS FORENSE

Cippus Forense

Anche questo cippo è un clamoroso esempio di reimpiego, clamoroso perché non si trova nella sua posizione originaria, ma poggiato su un fianco. Il cippus ha la forma di una cupa, la copertura, cioè, di una tomba a forma di botte, spesso monolitica. È in pietra calcarea, ed è stato rinvenuto dopo il 1980 nell’area del foro. Presenta una forma cilindrica parzialmente appiattita nella parte centrale; sul cippus è stata rinvenuta la seguente iscrizione, che ci testimonia che esso è stato realizzato per un uso sepolcrale:

DI. M.
LEONI
MYRTILVS ET
LEO FILI PATRI
B. M. FECERVNT

Diis Manibus
Leoni
Myrtilus et
leo fili patri
bene merenti (o bonae memoriae) fecerunt
Agli Dei Mani
Al benemerito padre Leone
i figli Mirtilo e Leone
posero

DM si riferisce agli dèi Mani: nell’ambito del culto dei morti sulle lapidi, infatti, figuravano le incisioni DM (Diis Manibus) o DMS (Diis Manibus Sacrum), usate come formule di rito. I Mani sono le anime dei defunti che a Roma erano oggetto di devozione, e a cui venivano fatte offerte sacrificali come vino, miele, pane. Si trattava di un culto fortemente sentito, se Cicerone nel De legibus afferma: deorum manium iura sancta sunto (“i diritti degli dei mani siano inviolabili”); la venerazione dei Mani derivava proprio dall’idea che i morti, se trascurati o dimenticati, potessero infliggere ai vivi dolori e malattie, pertanto ogni famiglia ne onorava la tomba con fiori e cibi.