Le evidenze archeologiche

L'ara di Venere

Quest’ ara votiva, rinvenuta nella zona del foro, venne realizzata durante l’età imperiale, cosa che si evince dai caratteri del testo. I caratteri riproducono la monumentale quadrata - ogni lettera, cioè, è scrivibile in un quadrato - che veniva usata per le iscrizioni importanti o per dare importanza ad una semplice dedica. Presenta un’ iscrizione facilmente leggibile

VENERI SACRUM PRIMUS ARKARIUS

(“il primo arcario … oggetto sacro a Venere”)

Il soggetto dell’iscrizione offre (il verbo non si legge nell’iscrizione) l’ara consacrata alla dea Venere, probabilmente per ringraziarla per la nuova carica ricevuta, quella di “primo arcario”. Primus è dunque un aggettivo e arcarius è un’apposizione che significa “colui che ha in custodia l’arca”. All’interno dell’epigrafe doveva esserci poi un quinto rigo, andato perduto, su cui compariva il nome di questo primo arcario. Quindi Primus Arcarius non è un nome, come pure qualcuno ha pensato.

Ara votiva di Venere

L’arca era la cassaforte del tempio, una cassa al cui interno venivano riposti i beni, come il denaro e oggetti preziosi. Presso questo tempio di Venere c’era, dunque, un primo arcario a cui erano sottoposti altri addetti alla raccolta e alla conservazione del denaro raccolto, che dunque custodivano l’arca.

Se erano presenti più cassieri significa che era un tempio molto ricco, sicuramente molto frequentato, favorito, peraltro, dalla sua posizione, cioè sulla direttrice che portava alla mefite, dove era ubicato un santuario di grandissima importanza per i Sanniti.

Probabilmente presso questo tempio era diffusa anche la pratica della ierodulia, il sacro servizio della sacra prostituzione, pratica importata dall’oriente che favoriva introiti particolarmente sostanziosi, come quelli che possiamo ipotizzare per questo tempio di Venere a Compsa. La pratica non era ritenuta immorale, poiché chi la praticava la vedeva come lo scioglimento di un obbligo religioso.