Le evidenze archeologiche

LA STRANA SORTE DI UN SARCOFAGO

Sarcofago come vasca di fontana pubblica

Nella zona di via Lomongiello, nei pressi di una struttura che tradizionalmente viene identificata con l’edificio termale, è situata una vasca che ci offre un evidente esempio di reimpiego di materiale, molto probabilmente in seguito ad uno dei tanti terremoti che hanno costellato la storia di questi luoghi. Ci troviamo, infatti, di fronte ad un sarcofago di IV sec. d. C., reimpiegato nel XIX secolo come vasca di una fontana pubblica!

Sul lato frontale di questo sarcofago si è conservata, anche se oggi è molto erosa dal tempo, la seguente iscrizione originaria, di carattere testamentario (CIL IX, 984):

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in quem induxi sarcofagum
in quem dum receptus fuerit cor-
pus meum numquam ullo liceat ac-
cedere neque aperire et vexare ossa mea
neque filuius neque nepotes neque de ad-
finitate ullus si quis autem ausu fuerit
infringere vel aperire inferet poene nomi-
ne rei pub(licae) c(ompsanae) folles mille sane Nevia
Prisca si permanserit usque in diem fi-
nitionis sues recipietur ibi iuxta maritum suu[m]
[Nella tomba dove…]
ho fatto collocare il sarcofago
in cui fino a quando sarà custodito
il mio corpo a nessuno mai sia lecito
accedere, sollevare il coperchio e sconvolgere le mie ossa
né il figlio né i nipoti
né alcun parente, se alcuno invece oserà
infrangere o aprire pagherà una multa
alla repubblica compsana di mille folli, eccetto Nevia
Prisca se avrà conservato la vedovanza fino
al giorno della sua morte vi sarà accolta a fianco di suo marito.

Iscrizione sul sarcofago

L’iscrizione risale al IV secolo d.C. (indizio interno per la datazione è il follis costantiniano) e manca delle prime due righe in cui probabilmente doveva essere menzionato il committente e il luogo di sepoltura. A parlare è un marito e padre che dichiara che fino a quando il suo corpo resterà nel sarcofago a nessuno mai sarà lecito avvicinarsi e profanare la tomba; vengono inclusi nel divieto il figlio, i nipoti e i parenti: qualora non avessero rispettato tale proibizione, essi avrebbero dovuto pagare una multa salata al municipium di Compsa. L’unica che avrebbe potuto essere deposta con lui nel sarcofago era la moglie Nevia Prisca, a patto che si fosse mantenuta, però, vedova e fedele: anche se qualcuno ha voluto parlare di un romantico amore coniugale è evidente che il testo, invece, esprime i profondi dissidi presenti in seno a questa famiglia, oltre che una mentalità maschilista e possessiva.

Dal punto di vista formale, il linguaggio risulta curato nel lessico e nella sintassi e l’attento impiego delle figure retoriche precisa lo status sociale dell’uomo, forse un ex magistrato, ipotesi accreditata dal fatto che, per punire i contravventori, egli fissa una multa a favore dell’istituzione municipale invece di minacciare maledizioni e malefici.

Ancora una volta si tratta, dunque, di un esempio di riutilizzo per usi completamente differenti da quelli originari: in questo caso, la cavità del sarcofago è diventata, semplicemente, la vasca di una fontana moderna!